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LE CRITICITÀ DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA NELLA PERSONA ANZIANA NEI DIVERSI SETTING ASSISTENZIALI

Di Gaetano Romigi

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Di Gaetano Romigi: Coordinatore, Docente e Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Master Università degli Studi di Roma Tor Vergata presso sede ASL Roma 2

FARMACI, INVECCHIAMENTO E ANZIANI
L’accelerazione del processo di invecchiamento ha avuto esiti demografici non solo per quanto riguarda l’aumento degli anziani rispetto ai giovani nei paesi industrializzati, ma anche un notevole aumento del numero dei cosiddetti grandi anziani, ultra 80enni. Stando ai più recenti dati Eurostat, l’Italia è il paese con il più alto tasso di over 65 rispetto alla popolazione di età compresa fra i 15 e i 64 anni. La notizia è positiva perché significa che gli italiani hanno un’aspettativa di vita alta, tuttavia non possiamo ignorare il fatto che molte di queste persone fanno fatica a prendersi cura di sé e a eseguire le attività di vita quotidiane di base. 1Con l’aumentare dell’aspettativa di vita vi è l’aumento della comparsa delle malattie cronico-degenerative.

Il fenomeno dell’invecchiamento si accompagna quasi sempre ad una instabilità della salute e quindi a una perdita parziale o totale dell’autonomia, richiedendo così maggiore sostegno sanitario e/o sociale e pertanto un aumento del consumo di farmaci. Possibilità non remota è quella di una comorbilità, cioè la presenza di più patologie contemporaneamente con relativa assunzione di più farmaci, si parla di poli-farmacoterapia. Ben l’’11% degli anziani italiani, riceve una prescrizione contemporanea di 10 farmaci o più. L’efficacia della terapia farmacologica nei pazienti geriatrici dipende delle proprietà dei farmaci specifici e dall’impatto che questi hanno sui fattori connessi all’invecchiamento. Tutto ciò si traduce in un consumo/abuso di farmaci, che nella persona anziana non sempre determinano i benefici per cui sono stati assunti, ma possono essere causa di eventi avversi e questi ultimi possono far precipitare una condizione di fragilità a cui l’anziano è maggiormente predisposto rispetto al giovane-adulto.

La confusione mentale, i deficit visivi e di memoria aumentano il rischio di eventi avversi perché inducono l’anziano a sbagliare farmaco, dosaggio o a non seguire correttamente la terapia. La poli-farmacoterapia aumenta la probabilità di interazione fra i principi attivi. Con l’invecchiamento, si realizzano modificazioni para-fisiologiche multi-sistemiche; alcune di queste modificazioni sono clinicamente più rilevanti. Il metabolismo e l’escrezione di molti farmaci si riducono, comportando la necessità di un adeguamento del loro dosaggio. La tossicità da farmaci può svilupparsi lentamente poiché i farmaci assunti cronicamente possono aumentare l’emivita di 5-6 volte, fino al raggiungimento di livelli stazionari. Gli effetti che il farmaco provoca sull’organismo dell’anziano possono essere maggiori o minori rispetto a quelli dei pazienti giovani. Proprio per questi motivi è buona pratica per il prescrittore evitare di prescrivere o somministrare farmaci inappropriati o che non inducono i benefici sperati e per l’Infermiere facilitarne l’accettazione, la conseguente assunzione e la successiva valutazione degli effetti.

OSPEDALIZZAZIONE E TERAPIA NELL’ANZIANO
Il processo di invecchiamento, la presenza di più patologie, la condizione di poli-farmacoterapia possono aumentare l’eventualità di effetti avversi, legati principalmente all’assunzione di più farmaci contemporaneamente. Questa condizione favorisce purtroppo il ricovero ospedaliero. L’anziano all’interno dell’ospedale è preso in carico da un équipe multidisciplinare composta da più professionisti tra i quali troveremo: geriatra, infermiere, fisioterapista, dietista, psicologo e assistente sociale.

L’ospedalizzazione non sempre garantisce livelli di sicurezza accettabili, anzi potrebbe innescare nell’anziano ulteriori criticità. Quando, rispetto al piano assistenziale, i risultati attesi vengono raggiunti ed il paziente è clinicamente stabile, può essere dimesso e trasferito in strutture più adeguate per la sua condizione come lungo degenza, RSA, case di riposo, strutture intermedie a gestione infermieristica. Mentre se il paziente ha raggiunto la massima autonomia possibile, i familiari si fanno carico della persona, questi potrà essere trasferito al domicilio.

Quando il paziente viene dimesso dall’Ospedale non sempre la pianificazione della dimissione consente di individuare il percorso appropriato una volta dimesso e i professionisti in grado di coordinare le attività e supervisionare i processi di cura e assistenza. Questo determina frequentemente riaccessi in pronto soccorso e nuovi ricoveri.

Sarebbe auspicabile, prima che il paziente venga dimesso, effettuare una attenta valutazione finale che permetta di individuare la più idonea struttura per quella tipologia di paziente e in relazione al contesto familiare, economico e sociale. In questo caso la figura del case-manager risulterebbe essenziale in quanto svolgerebbe quelle funzioni di sostegno necessarie per la persona anziana dimessa.

Nel campo sanitario, un principio ormai accolto con favore è sempre più generalizzato è quello secondo cui sia da privilegiare, quando possibile, la degenza domiciliare del paziente anziano per una serie di motivazioni di ordine clinico, assistenziale, sociale, psicologico ed economico. Si ritiene che la durata di un eventuale ospedalizzazione debba ridursi al tempo strettamente legato al trattamento della fase acuta, la più impegnativa sul piano clinico, mentre gli eventuali interventi diagnostico-terapeutici successivi, quando richiesti e programmati, si preferisce siano attuati al domicilio del paziente. In questi casi talora si rende necessaria garantire al paziente la continuità terapeutica a domicilio di medicinali già iniziati nel corso de ricovero ospedaliero.

LA RICONCILIAZIONE FARMACOLOGICA
Secondo molti studiosi e ricercatori non è solo il numero dei farmaci ma sono soprattutto le modifiche di terapia a porre i pazienti anziani a rischio di reazioni avverse. Quando i farmaci vengono iniziati, oppure sospesi o aumentati nella dose, si crea infatti una situazione di aumentato rischio di reazioni avverse legate alla possibile confusione o alla mancata aderenza alla terapia. 2

La mancata riconciliazione della terapia può causare gravi danni ai pazienti anziani. La Raccomandazione n.17 elaborata dal Ministero della Salute a dicembre 2014 fornisce indicazioni sui diversi passaggi allorquando il processo di terapia passa attraverso setting di cura diversi nei quali operano professionisti diversi (Ospedale, Cure intermedie, Strutture dedicate ad anziani, Territorio, Cure Primarie, Domicilio). 3 Si tratta di un processo formale che dovrebbe permettere in modo chiaro completo ed inequivocabile di conoscere la terapia assunta dal paziente, consentire al prescrittore di valutare in maniera personalizzata se proseguirla, variarla o interromperla in toto o in parte ed infine garantire continuità e sicurezza nella preparazione e somministrazione finale, in particolare da parte dell’Infermiere. Con la Riconciliazione si garantisce una delle migliori strategie per prevenire errori come dimostrato dalla letteratura internazionale. Recentemente anche in Italia esistono studi sull’applicazione di questa strategia che riguardano l’Ospedale, ma anche e soprattutto recentemente il Territorio e il Domicilio. La Riconciliazione è stata inserita dal 2012 tra i requisiti di l’accreditamento che le strutture sanitarie territoriali sono tenute ad assicurare. 4 Obiettivo principale è la prevenzione degli errori nei momenti delicati quali la dimissione ospedaliera, il trasferimento tra strutture, la presa in carico sul Territorio in strutture residenziali e semiresidenziali, la presa in carico domiciliare.

Strumenti fondamentali sono la scheda di Ricognizione/Conciliazione, disponibile e conosciuta da tutti i professionisti coinvolti nel processo di cura e assistenza nei diversi setting assistenziali. Sulla scheda saranno riportati:

-Nome commerciale e/o del principio attivo del farmaco
-Forma farmaceutica
-Dosaggio
-Posologia giornaliera
-Data inizio e durata terapia
-Data e orario dell’ultima dose assunta
-Via di somministrazione
-Eventuali trattamenti sperimentali (compreso uso compassionevole e di farmaci off label
-Eventuale assunzione di omeopatici, integratori, medicine non convenzionali
-Allergie e intolleranze conosciute
-Terapie pregresse ed effetti indesiderati
-Assunzione di alimenti che possono interferire con la terapia
-I dati di peso corporeo e altezza del malato
-Stili di vita del malato (alcol, fumo, droghe ecc.)
-Utilizzo dispositivi medicati

Negli ultimi tempi sono emerse molte criticità che riguardano la somministrazione dei farmaci al paziente anziano. In particolare i momenti più critici e di maggior interesse infermieristico risultano la gestione della dimissione ospedaliera e della terapia domiciliare, specie nei pazienti fragili e soli.

Esiste la reale necessità di esaminare quale sia l’adozione di modelli organizzativi, operativi dell’assistenza, con particolare riferimento al processo di gestione della terapia farmacologica, e illustrare come le buone pratiche e le linee guida siano importanti ed orientate a garantire la massima sicurezza e qualità di cure, nell’interesse della persona assistita.

Pur nella consapevolezza che è impossibile trattare in maniera esaustiva ed esauriente le criticità nel processo di gestione di terapia farmacologica nella persona anziana nei diversi contesti assistenziali, è importante aumentare in tutti gli esercenti le professioni sanitarie direttamente o indirettamente coinvolti, le conoscenze relative agli obblighi e alle responsabilità del professionista che deve garantire la corretta assunzione dei farmaci, ma che deve soprattutto assicurare sicurezza e qualità delle cure e dell’assistenza, non solo in ottemperanza agli obblighi giuridici della Legge 24/2018 – conosciuta come Legge Gelli – e recentemente introdotta, ma anche e soprattutto lavorando sulla base di evidenze scientifiche. A tal proposito sono assolutamente da approfondire i contenuti di tutte le Raccomandazioni che il Ministero della Salute da diversi anni a questo parte ha pubblicato sul proprio sito istituzionale.

ASPETTI CLINICI E TECNICO-ASSISTENZIALI
La gestione del processo di terapia farmacologica nella persona anziana risente di una serie di variabili. Le prime da tenere in considerazione sono quelle correlate ai meccanismi fisiologici di senescenza che determinano modificazioni dell’organismo capaci di rendere la terapia meno efficace e di aumentare gli effetti collaterali e da accumulo dei farmaci. Altre variabili da tenere in considerazione sono quelle che determinano nella persona anziana difficoltà ad assumere la terapia, come ad esempio alterazioni della memoria, disturbi cognitivi, tremori, calo della vista. A questo, l’Infermiere che assiste la persona anziana, deve aggiungere le difficoltà correlate al setting di cura. L’ospedalizzazione non sempre garantisce livelli di sicurezza accettabili, anzi potrebbe innescare nell’anziano ulteriori criticità. La presa in carico della persona anziana a domicilio, seppur auspicabile, non sempre è possibile quando la persona è sola e non ha la collaborazione di familiari e/o caregivers. Gli anziani rappresentano, pertanto, la popolazione maggiormente sensibile alle reazioni avverse e all’interazioni tra farmaci, anche in virtù delle alterazioni fisiologiche associate all’ invecchiamento che, come già detto precedentemente, sono causa di alterata risposta ai trattamenti farmacologici. Gli effetti dell’invecchiamento sono complessi e dipendono da numerosi fattori, tra cui la composizione della massa corporea, lo stato di salute dei diversi organi e l’attività di sistemi enzimatici. Alcuni processi come l’assorbimento intestinale, la distribuzione o il legame alle proteine plasmatiche risultano solo scarsamente alterati, mentre altri come ad esempio l’eliminazione renale risentono maggiormente dell’invecchiamento e possono comportare modificazioni importanti sul metabolismo e eliminazione di un farmaco. Inoltre con l’aumentare dell’età si osserva, in genere, un aumento della sensibilità ai farmaci, parallelamente ad una riduzione dei processi di compensazione omeostatici.

Altri fattori importanti da non sottovalutare nella persona anziana sono i deficit sensoriali (vista, udito, gusto) la precarietà delle condizioni neuromotorie, la povertà, la scarsa motivazione e la solitudine che possono essere causa o di scarsa aderenza alla terapia o di una non corretta assunzione dei farmaci. Ciò si traduce in aumento delle interazioni farmacologiche, frequenti ospedalizzazioni, aumento della fragilità, prescrizioni di ulteriori farmaci con incremento della spesa sanitaria globale. Tutto ciò è amplificato se parliamo di anziani che vivono a domicilio, indigenti e non accuditi da caregiver. In questa fetta di popolazione anziana, infatti, si registrano maggiori difficoltà nella gestione della terapia. Un anziano con deficit cognitivo, diabetico, ipovedente non seguito da un valido caregiver può andare incontro ad episodi di ipoglicemia da non corretta somministrazione di insulina. Ciò comporterà istituzionalizzazione, peggioramento dello stato di fragilità, incremento di farmaci prescritti per migliorare lo stato di fragilità, ulteriore spesa sanitaria.

Non bisogna trascurare di adeguare la terapia alle abitudini del paziente, di scegliere le vie di somministrazioni meno fastidiose e, comunque, più gradite al paziente e più adatte alle sue capacità reali di assunzioni della terapia. Le prescrizioni vanno scritte in modo chiaro e leggibile; il compito dell’infermiere è quello di spiegarle in modo semplice ed accurato al paziente anziano e/o a chi se ne prende cura. È essenziale motivare le prescrizioni farmacologiche fornendo informazioni sulla natura della malattia e sugli obiettivi della terapia, accennando anche a possibili effetti collaterali. Può rivelarsi utile, inoltre, l’impiego di un piano giornaliero di terapia e di altri ausili mnemonici (legati al momento dell’assunzione, al colore delle pillole o alle funzioni dei medicamenti). La durata del trattamento va stabilita in relazione al quadro clinico, ma è sempre opportuno prevedere controlli nel tempo.

Il primo passo per una prescrizione appropriata dei farmaci nel soggetto anziano è certamente quello di cercare di fare una corretta diagnosi, in modo da avere obiettivi terapeutici ben definiti.

Benché il più delle volte si rischi l’eccesso contrario occorre evitare una sotto-prescrizione di farmaci potenzialmente utili per un semplice pregiudizio legato all’ età del paziente o per l’errore di attribuire disturbi lamentati al normale invecchiamento. D’altra parte, è noto che nell’anziano il rapporto tra rischi e benefici di alcuni farmaci si riduce e vi è la concreta possibilità della prescrizione di un numero eccessivo di medicamenti e per un periodo troppo lungo. Ciò dovrebbe portare, innanzitutto, a limitare il numero dei farmaci, individuando quelli veramente necessari ed evitando un atteggiamento “sintomatico”, che porta a prescrivere uno o più composti per ogni disturbo lamentato dal paziente. Non si dovrebbero trascurare approcci e rimedi di tipo non farmacologico, dedicando ampio spazio alla modifica di abitudini e stili di vita non salutari. Una buona regola è quella di partire con piccoli dosi, saggiandone l’efficacia e la tollerabilità, per procedere poi ad eventuali graduali aumenti.

Per quanto riguarda la somministrazione della terapia potremmo avere degli accorgimenti, come per esempio evitare di camuffare o tritare i farmaci, molti farmaci tritandoli perdono il loro beneficio e possono provocare reazioni avverse non immediate ma nel corso del tempo. Quindi buona pratica sarebbe quelli di cercare e chiedere al farmacista se quel tipo di farmaco sia presente in altre forme. Per evitare effetti avversi dati dalla somministrazione di più farmaci contemporaneamente è opportuno da parte dell’infermiere seguire i giusti orari della somministrazione della terapia e da parte del medico distribuire i vari farmaci prescritti durante tutto il corso della giornata. Questo perché si deve dare il tempo al farmaco di agire, di essere assorbito e poi successivamente eliminato. Importante sarebbe sapere quali farmaci devo essere somministrati dopo che il paziente ha mangiato per evitare ulteriori problemi al tratto gastro-intestinale.

TERAPIA A DOMICILIO
Per quanto riguarda la somministrazione a domicilio di farmaci nei pazienti non autonomi o semi-dipendenti, è precipuo dovere normativo e deontologico da parte dell’infermiere seguire tutte le linee guida e le Raccomandazioni, consultare la scheda di terapia formulata alla dimissione ospedaliera e successivamente modificata dal MMG. La scheda di terapia deve essere scritta in modo chiaro, e con la firma dell’infermiere dopo la somministrazione del farmaco. È responsabilità educativa dell’infermiere, l’informazione e l’addestramento del caregiver per quanto concerne le cure domiciliari con particolare attenzione alla terapia farmacologica. Importante intercettare la presenza di reazioni avverse dopo la somministrazioni dei farmaci. Educare il paziente semi-autonomo a svolgere tutte quelle attività di vita quotidiana di base, sviluppando quindi le capacità residue della persona. Una giusta educazione va dedicata anche alla auto-somministrazione di farmaci, alla preparazione prima dell’assunzione del farmaco e percepire i primi segni di un effetto avverso. per quanto riguarda l’auto-somministrazione posso essere d’aiuto alcuni presidi come il porta pillole che separano appunto le pillole in base ai giorni, evitando così che si verifichi una situazione di sovradosaggio del farmaco. Per quanto riguarda i pazienti autonomi che devono effettuare cicli di terapia temporanei la continuità assistenziale può essere affidata alla farmacia dei servizi dove potremo trovare un infermiere, assicurando così servizi e prestazioni professionali impossibile da erogare in altri contesti(Legge 69/2009). L’infermiere come recita il Profilo Professionale (DM 739/1994) è garante della corretta somministrazione dei farmaci prescritti. In ambito domiciliare, diversamente si può presentare una criticità, assolutamente da non sottovalutare, che si può verificare, e talvolta si verifica, in ambito esclusivamente extra-ospedaliero, e che coinvolge gli Infermieri allorquando gli aspetti formali di acquisizione di un farmaco da parte del paziente, e di rimborso economico al farmacista dello stesso, predominano rispetto agli aspetti tecnico-pratici necessari per la sicura somministrazione della terapia. Alcune volte può verificarsi il caso che il processo di gestione della terapia si blocchi nelle fasi di preparazione e somministrazione del farmaco prescritto, al momento cioè in cui, una volta consegnata la ricetta in farmacia, non è possibile per il Professionista Infermiere prendere visione diretta degli elementi imprescindibili della prescrizione a domicilio del paziente, in un ambulatorio infermieristico, o in un’ altra qualsiasi struttura territoriale, dove non presente sempre un medico, specie nei giorni festivi e/o di notte, quando gli studi di medicina generale sono generalmente chiusi e così anche la maggioranza delle farmacie, tranne ovviamente quelle in turno. In tutti questi casi, trascurando per il momento le relative difficoltà degli utenti, specie se soli, fragili o con problemi cognitivi, e questo non certo perché si tratta di difficoltà poco rilevanti, ma solo perché impossibili da affrontare in questa sede, le attuali soluzioni rischiano di aprire la strada a situazioni medico-legali border-line, come, ad esempio, il rischio di esercizio abusivo della professione infermieristica, la mancata somministrazione della terapia, l’uso di pratiche alternative rischiose o auto-somministrazioni pericolose ecc. Sarebbe auspicabile perciò da parte del medico prescrittore produrre sempre, a monte, due diverse certificazioni: la prima, relativa agli elementi indispensabili per la farmacia e per il paziente, con cui si permette l’acquisizione del farmaco da parte dell’utente ed il rimborso economico alla farmacia da parte del SSN, con relativa tracciabilità per la spesa pubblica e identificazione di responsabilità amministrativa, la seconda, invece, relativa ai dati identificativi del paziente e a quelli tecnici che riguardano informazioni sul principio attivo, le dosi, la posologia, i tempi e le modalità di somministrazione e con cui si permette all’operatore quindi la corretta e sicura somministrazione, in qualsiasi momento ed in qualsiasi contesto, anche in assenza del prescrittore stesso e sulla base di protocolli interdisciplinari condivisi. Sarebbe altresì auspicabile che le pratiche di preparazione e somministrazione della terapia venissero sempre affidate al personale infermieristico o comunque, in assenza, ad altro personale sanitario qualificato ed abilitato, e mai a nessun altro. Chi scrive ritiene che l’intera problematica su descritta possa essere frutto di un retaggio storico e culturale dei professionisti sanitari, in quanto abituati quasi esclusivamente alle dinamiche lavorative in ambito ospedaliero, dove tali situazioni risultano pressoché impossibili sia per motivi tecnici che organizzativi. Medici, infermieri e farmacisti sono meno abituati a cooperare, invece, in contesti ambientali diversi da quello ospedaliero, come appunto quello domiciliare o territoriale, e anche meno avvezzi a considerare le fasi di preparazione e somministrazione della terapia come facenti parte dello stesso ed unico processo al quale garantire sicurezza e continuità, in assenza di valide alternative. Inoltre anche i cittadini-utenti posseggono la loro piccola parte di responsabilità nella diffusione di pratiche scorrette ed inappropriate affidandosi a se stessi o a persone di dubbia competenza e qualifica. Pare tuttavia eticamente corretto, a rigor del vero, sottolineare come siano pressoché assenti programmi educativi ed informativi diretti ai cittadini e tesi a trasmettere a tutti corrette informazioni circa i comportamenti da adottare, gli eventuali rischi per la salute e i disservizi che derivano da azioni superficiali, scorrette o inappropriate relative alle delicate operazioni di preparazione e somministrazione dei farmaci prescritti. Aumentare la consapevolezza dei cittadini in merito a tale problematica ed educarli ad una sicura gestione domiciliare del processo di terapia farmacologica sarebbe quindi auspicabile e potrebbe rappresentare un obiettivo condiviso di medici, infermieri e farmacisti anche nel loro stesso interesse.5

In CONCLUSIONE si può asserire che le problematiche domiciliari rispetto a quelle ospedaliere, per quel che concerne la preparazione, somministrazione e controllo della terapia prescritta, pur essendo fondamentalmente simili differiscono per un aspetto sostanziale che riguarda l’autonomia e la responsabilità dell’Infermiere. A domicilio, non essendovi un ambiente “protetto”, e in virtù del rapporto di fiducia diretto e personale con il paziente, i familiari o i caregiver, le responsabilità del professionista aumentano e non possono essere facilmente “condivise”. Sicuramente occorre migliorare i rapporti tra chi prescrive, chi fornisce e chi poi prepara e somministra la terapia. Sul territorio e a domicilio Infermieri, Medici di Medicina Generale e Farmacisti potrebbero collaborare più strettamente senza però cadere nel tranello di un conflitto di interessi.

 

FONTE: dimensioneinfermiere.it

 

 

 

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