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Alzheimer: un nuovo test del sangue abilita la diagnosi precoce

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Un test ematico per intercettare precocemente la patologia

La recente approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) del test Lumipulse G β-Amyloid Ratio (1-42/1-40) rappresenta un’importante innovazione nella diagnosi precoce del morbo di Alzheimer. Questo esame consente di rilevare nel plasma umano due marcatori biologici chiave: la proteina tau fosforilata pTau217 e il peptide β-amiloide 1-42, entrambi coinvolti nella patogenesi dell’accumulo amiloide cerebrale. L’accertamento di tali alterazioni, che precedono la comparsa dei sintomi cognitivi anche di 15-20 anni, può fornire indicazioni predittive utili per intercettare la malattia in fase preclinica. Individuare precocemente le patologie, quindi, diventa un obiettivo clinicamente raggiungibile anche in setting ambulatoriali non specialistici.

Performance diagnostica confrontabile alle metodiche tradizionali nella diagnosi precoce

Validato per l’uso su soggetti di età pari o superiore a 55 anni, il test Lumipulse ha dimostrato un’elevata accuratezza nella diagnosi precoce, con risultati comparabili a quelli ottenuti mediante PET cerebrale e analisi del liquido cerebrospinale. La semplicità del prelievo ematico e l’elevato valore predittivo ne fanno uno strumento strategico per aumentare la diffusione della valutazione precoce nei pazienti con sospetta demenza. Sebbene il test non sostituisca completamente gli strumenti tradizionali, offre una via meno invasiva e più facilmente accessibile per formulare una diagnosi in contesti clinici a bassa complessità tecnologica.

Verso un accesso più tempestivo alle terapie modificanti

L’impiego di farmaci anti-amiloide come lecanemab e donanemab è indicato solo nelle fasi iniziali della malattia, motivo per cui strumenti affidabili per la diagnosi precoce sono oggi imprescindibili. Il test Lumipulse consente di individuare i pazienti candidabili alla terapia prima che si manifesti un deterioramento cognitivo clinicamente significativo, contribuendo così alla stratificazione terapeutica. Anticipare la diagnosi migliora anche la possibilità di preservare la funzionalità residua, offrendo un intervallo maggiore di autonomia. L’integrazione di questo nuovo strumento nei protocolli di valutazione neurologica potrebbe dunque modificare l’intero paradigma clinico della diagnosi precoce di Alzheimer.

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